Ma gli astronauti sono armati?
Una domanda scarsamente posta e dalle risposte ancora più rare è questa: tanto la NASA, quanto l’RKA russa e l’ESA europea parlano di “corpo degli astronauti” e, in effetti, in larga parte gli equipaggi dei veicoli spaziali di tutto il mondo provengono dal mondo militare; ma sono anche armati?
Questa domanda ha trovato una risposta non molti anni fa, quando la stampa russa, in un periodo di particolare apertura, ha diffuso interessanti, anche se incomplete, notizie su questo tema.
Per ciò che riguarda la NASA, la risposta alla domanda iniziale era relativamente semplice. L’ente aerospaziale americano aveva condotto diversi studi sui problemi di “security” a bordo della flotta di Shuttle in esercizio dal 1981 al 2011, senza, però, dare mai eccessiva pubblicità alla materia. È stato scritto che almeno in alcuni voli vi fossea disposizione dell’equipaggio un “survival rifle” Springfield M6 Scout, a due canne sovrapposte (nei calibri .22 e .410, cioè 5,56 e 10,41 mm), oppure una pistola semiautomatica d’ordinanza Beretta M9 da 9 mm o una SIG Sauer P250 Compact calibro .357 (9 mm) del tipo usato dagli Air Marshal. Tuttavia la NASA ha ritenuto che, in caso di rientro in mare non vi sarebbe stata necessità di ricorrere ad armi di sopravvivenza mentre, se si fosse verificato un atterraggio d’emergenza sulla terraferma, le squadre di soccorso sarebbero state in grado di intervenire con relativa rapidità.
Agli astronauti, tuttavia, sono forniti dei generi per interventi di prima necessità tra i quali è compreso un coltello, il costosissimo Randall Model 17 Astro (da 510 a 680 dollari al pezzo, secondo il periodo) che tuttavia non ha alcuna caratteristica di rilievo. È un pugnale con lama d’acciaio inossidabile di 14 cm, con impugnatura in materiale composito “micarta”.
Decisamente molta più attenzione agli aspetti legati alla difesa ed alla sopravvivenza è stata prestata dalla RKA. Tutti i veicoli spaziali russi, infatti, sono stati progettati per il rientro sulla terraferma, spesso in aree remote, con la possibilità per i cosmonauti di rimanere per lunghe ore in attesa della squadra di recupero. Così, già il 12 aprile 1961 il ten. Yuri Alekseevich Gagarin, ufficiale della V-VS, andò in orbita con la sua pistola semiautomatica Makarov PM calibro 9 mm, arma molto efficiente in uso nelle forze armate sovietiche dal 1951 al 1991.
Ma gli specialisti sovietici addetti agli equipaggiamenti dei cosmonauti erano alla ricerca di qualcosa di più specifico. Lo spettro d’impiego doveva essere ampio e andava dalla sicurezza personale a terra alla possibilità, per quanto remota, che il loro veicolo spaziale fosse abbordato nello spazio da un equipaggio ostile (c’era la Guerra Fredda…) ma anche che, a bordo di una stazione spaziale, un occupante perdesse il controllo per motivi di stress o altro.
La Makarov PM rimase in dotazione fino al 1982, ma nel 1984 furono realizzati i prototipi di qualcosa di più… esotico, in grado di offrire un mezzo di difesa in caso di attacco da parte di veicoli spaziali nemici. Ne risultarono alcuni progetti intesi soprattutto come mezzi per disabilitare i sensori ottici nemici. Il dispositivo più perfezionato, chiamato provvisoriamente LP, fu realizzato nel 1984 e assomigliava ad una pistola semiautomatica, ma le sue cartucce (sembra tra sei e dodici da 9 mm nel caricatore) servivano solo per fornire la sorgente di luce per un laser di tipo “pompato”, efficace fino a circa 20 m. Ne fu realizzato un tipo più semplice, dalla forma di revolver con un grosso tamburo ed una variante basata sull’usuale Makarov, completamente trasformata al suo interno.
La Makarov standard, intanto, continuò ad essere parte del kit di sopravvivenza NAZ-3/Granat-6 che la Zvezda produsse più o meno dal 1961 al 1982.
Tuttavia, poiché il cosmonauta Aleksei Leonov già nel 1965 aveva trascorso 48 ore nella taiga, assediato dai lupi, prima di poter essere recuperato, i vertici dell’RKA ritennero che vi fosse la necessità di un vero fucile da sopravvivenza e la soluzione fu trovata nel 1982 dalla Tula che progettò il TOS-82, poi più noto come TP-82, un’arma progettata ad hoc. Essenzialmente era quello che i tecnici chiamano “drilling”, un’arma a tre canne (due da 12,7 mm ed una da 5,45 mm). Pesante 1,6 kg, poteva montare un calciolo che era anche un machete, con il quale il peso saliva a 2,4 kg. I portamunizioni contenevano 11 cartucce a palla da 5,45 mm, dieci cartucce 10 SP-D caricate a pallini da caccia e dieci fuochi a luce rossa.
Questa “lupara” TP-82 è rimasta quale dotazione corrente per tutti gli equipaggi spaziali russi (ma, sembra, anche per quelli dei bombardieri Tupolev Tu-22M) fino al 2007, quando ha cominciato ad essere ritirata, per la fine della produzione delle sue munizioni.
Oggi, comunque, i cosmonauti continuano ad avere un’arma nel loro “survival kit”, in genere la semiautomatica Tula PSM da 5,45 mm, compatta e leggera, che progressivamente ha preso il posto della Makarov.
