STORIE DI MAGHI E di GUERRIERI NEI CIELI INGLESI
Di Giorgio Gibertini
Fu nel corso della seconda guerra mondiale che iniziarono ad apparire sugli aerei quegli oggetti poi definiti ” scatole nere”, quell’insieme di congegni elettronici inventati da moderni “maghi” di cui i più non capirono nemmeno lontanamente l’importanza che avrebbero avuto in campo bellico in generale ed aeronautico in particolare. E la prima apparizione avvenne nella seconda parte della Battaglia d’Inghilterra, durante le incursioni notturne cui ricorse la Luftwaffe dopo la batosta ricevuta combattendo di giorno contro la RAF.
Fu infatti proprio nei cieli della Gran Bretagna assediata che nacque la specialità della caccia notturna radarguidata, i cui esponenti di maggior spicco furono la ben affiatata coppia John Cunningham (pilota) e Jimmy Rawnsley (operatore radar).
Fin dall’invenzione del radar, avvenuta in Gran Bretagna nei primi anni ’30 ad opera di Sir Robert Watson Watt – da sottolineare, nonostante il principio della riflessione delle onde radio fosse già stato messo in luce da Guglielmo Marconi – i tecnici si resero conto che chi fosse riuscito a rendere operativa questa nuova tecnologia avrebbe conseguito un vantaggio strategico di fondamentale rilevanza. Quanto a poter installare una di queste apparecchiature pesanti e ingombranti a bordo di un aeromobile non era il caso di parlarne, almeno non finché non si fosse riusciti a miniaturizzare il tutto. Inoltre sarebbe rimasto il problema costituito dalle antenne, che erano di tipo Yagi (simili nella configurazione a quelle del primo storico canale TV in Italia !) e causa¬vano una forte resistenza aerodinamica. I tecnici tuttavia non si persero di coraggio e proseguirono gli studi tendenti a realizzare generatori d’onde modulate sempre più’compatti e leggeri, operanti su lungheùze d’onda sempre più brevi.
Gli esordi della specialità, inutile dirlo, furono assai difficili, con pochissimi specialisti che dovevano inventare nuove soluzioni a sempre nuovi problemi, lavorando in condizioni assai dure, entro strette e geli¬de fusoliere di aerei concepiti all’origine per scopi completamente di¬versi, impiegando apparecchiature rudimentali dall’affidabilità aleato¬ria e dalla funzionalità assai poco convincente, cercando, notte dopo notte, di interpretare segnali elusivi che apparivano e scomparivano sugli schermi fluorescenti. Cunningham e Rawnsley, che militavano nella Royal Auxiliary Air Force fin da prima della crisi di Monaco, furono due di questi uomini, accomunati in un compito che non poteva godere certamente di una vasta pubblicità, le cui azioni, le vittorie e le sconfitte erano invece celate al grosso pubblico da una fitta cortina di segreto: per giungere alla vittoria finale era necessario che il nemico ignorasse il più possibile l’esistenza di queste apparecchiature radar aeroportate e il grado del loro avanzamento tecnologico. La segretezza era tale che, quando in seguito ad un abbattimento di un incursore nemico su Londra, l’evento non potè essere tenuto celato alla stampa, le fonti ufficiali della RAF fecero circolare la favola che Cunningham possedesse straordinarie proprietà di visione notturna consuma¬ndo una grande quantità di carote !
Palesemente la cosa era poco credibi¬le, eppure nell’ Italia fascista il nostro Ministero dell’Aeronautica ci cascò in pieno ! ed emise una circolare nella quale si consigliava ai nostri piloti da caccia notturna di nutrirsi con carote per emulare le prodezze degli inglesi ! Possiamo immaginare che risate si saranno fatti alle nostre spalle non solo i britannici, ma soprattutto gli alleati tedeschi, i quali sapevano benissimo quale fosse l ‘origine tecnologica di quei risultati e che tuttavia si guardavano bene dal metterci al corrente dei loro risultati.
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Il primo aereo da caccia notturna britannico fu ricavato converten¬ do all’uopo un bombardiere leggero, il Bristol Blenheim; si ebbe così il Blenheim IF equipaggiato con radar A.I.MK.IV operante su lunghezza d’onda di 1,5 metri. Si trattò di una soluzione di ripiego in attesa che si rendesse disponibile il possente Beaufighter, ma che egualmente equi¬paggiò ben 11 Sqdn. da caccia notturna in patria e 3 oltremare. Il Blenheim non si rivelò particolarmente adatto allo scopo, ma fu giocoforza servirsene negli anni difficili 1939-’41. Molto migliore risultò es¬sere il Beaufighter IF che, pur essendo dotato dello stesso apparato radar, seppure migliorato, disponeva di un armamento di gran lunga più potente (4 cannoni Hispano da 20 mm con 240 colpi per arma e 6 mtg. Browning cal. 7,7 mm con 1000 colpi per arma), di una potenza motri¬ce esuberante e raggiungeva una velocità assai maggiore del vetusto Blenheim. Il Beaufighter iniziò ad entrare in servizio nell’estate del 1940 e subito incontrò il favore degli equipaggi. Fu a bordo di un Beaufighter IF che Cunningham conquistò una delle sue prime vittorie abbattendo uno Ju 88A (l’operatore al radar era in quella occasione Phillipson).
Il combattimento del 2 gennaio 1941 merita di essere ricordato perché rispecchia bene il tipo di azione notturna di quei giorni. Questa volta il radarista era Rawnsley, che doveva divenire il compagno stabile di Cunningham. Quando giunse la chiamata d’allarme del GCI (Ground Controlled Interception) di Tangmere il Beaufighter di Cun¬ningham e Rawnslcy era già in quota. Il GCI indicò loro un bersaglio in avvicinamento sulla Manica e fornì quota e vettore radiale. Era una notte serena e splendeva la luna: una notte adatta al combat¬timento. Giunti al limitare meridionale della Gran Bretagna, un limite che non dovevano superare nemmeno per continuare un inseguimento, tanto si teneva alla segretezza dell’apparecchiatura radar A.I.MK.IV, il GCI ordinò loro di orbitare in attesa dell’incursore nemico che volava a circa 3.000 m . Cunningham decise di salire di altri 500 m in modo da avere un certo vantaggio di quota. Mentre effettuava questa manovra il GCI continuava a tenerlo informato sui movimenti del nemico . Si noti che il radar A.I.MK.IV era un’apparecchiatura alquanto primitiva, con una portata massima di circa 5 km e una utile di 3,5 km; inoltre «vedeva» contemporaneamente in avanti e all’indietro, co¬sì che le sue indicazioni dovevano essere acutamente interpretate dallo «stregone». Nel buio della notte era infatti possibile credere che il ber¬saglio si trovasse in avvicinamento anziché in allontanamento e vice¬versa. Il piccolo «blip» luminoso che segnalava sui due schermi la presenza di un intruso era poi estremamente labile e aveva la brutta abitudine di scomparire improvvisamente se l’avversario effettuava una manovra violenta di scampo, oppure poteva nascondersi nel «clutter» del terreno che rinviava una quantità di echi spuri man mano che la quota di intercettazione diminuiva. In tal caso l’inseguimento diveniva impossibile.
Torniamo alla cronaca del combattimento. Il GCI finalmente aveva indirizzato l’ equipaggio del caccia , dopo alcune manovre, su di una rotta di inseguimento. Rawnsley scrutava con attenzione ed eccitazione i due schermi alla ricerca di un «blip» che gli segnalasse la presenza elusiva dell’avversario. Finalmente, tra il rumore di fondo generato dal terreno, ecco apparire, ai limiti della portata del radar, un leggero guizzo, ancora quasi indistinto. Poi il blip divenne sempre più distinto via via che il Beaufighter si avvicinava alla preda. Rawnsley segnalò la presenza del nemico a Cunningham: distanza 3 miglia, quota circa 3.000 m, un poco a sinistra in basso. Cunningham non se lo fece ripetere due volte ed effettuò una lenta virata a sinistra fino a che il blip si stabilizzò sul centro degli assi dello schermo. Ora occorreva perdere un po’ di quota, ma senza acquistare velocità per non giungere troppo veloci in coda all’avversario. Comunque ciò non sarebbe bastato e Cun¬ningham fece uscire il carrello non disponendo di un freno aerodinami¬co. In tal modo il Beaufighter perse quota e non acquistò velocità; Rawnsley continuava a scrutare gli schermi per non perdere d’occhio il segnale nemmeno per un attimo: sapeva bene che la minima disatten¬zione poteva far perdere loro una preda già sicura. li bombardiere tedesco, del tutto ignaro del pericolo incombente, continuava imperter¬rito la sua rotta volando verso il suo destino. La distanza tendeva ora ad aumentare lentamente: il Beaufighter aveva perso troppa velocità! Manette leggermente in avanti e gli Hercules ripresero a rombare con vigore. Distanza in diminuzione, leggera correzione di rotta a sinistra, poi ag¬giustamenti leggeri nei due sensi. Ora il Beaufighter stava avvicinandosi un po’ troppo rapidamente al bersaglio: era necessario togliere manetta nuovamente onde non sopravanzarlo. La distanza diminuiva continua¬mente: 600 yarde, bersaglio leggermente più alto, 450 yarde… 300…, 250… Presto Rawnsley lo avrebbe perso quando si fosse raggiunta la portata minima del radar. Improvvisamente Cunningham annunciò la scoperta visiva e diede nuovamente motore per non farselo scappare. Finalmente erano riusciti a giungere al contatto visivo: sopra di loro troneggiava un’ombra scura la cui sagoma andava sempre di più preci¬sandosi mentre la distanza residua calava. Era un Heinkel 111, facilmente riconoscibile per gli impennaggi ellittici. Cun¬ningham ridusse la luminosità del collimatore al minimo in modo che non interferisse con la visione del nemico. Ora bisognava fare quota per portarsi direttamente in coda all’avversario: una manovra da eseguire con attenzione perché il minimo errore avrebbe rivelato ai mitraglieri tedeschi la presenza indesiderata alle loro spalle. Cunningham si portò in coda all’Heinkel 111 e lo collimò accuratamente, poi premette il pulsante di sparo. Fu come si scate¬nasse l’inferno. ln cabina il rumore dei quattro cannoni Hispano lacerò il silenzio quasi religioso che aveva accompagnato tutto l’inseguimento. Le fiammate delle bocche da fuoco abbagliarono improvvisamente Rawnsley, mentre Cunningham, abituato all’effetto, aveva socchiuso gli occhi per non lasciarsi sorprendere. li frastuono era veramente inferna¬le, ma l’Heinkel procedeva come se niente fosse successo. Armi incep¬pate! Rawnsley rapido si curvò per controllarle. Tutto in ordine. Nuo¬va raffica, nuovo frastuono in cabina, e finalmente un risultato pratico: una serie di esplosioni sul motore destro dell’ Heinkel. Stranamente i due aerei, preda e cacciatore, proseguivano nella loro rotta immersi nel chiarore lunare, senza che i mitraglieri avversari facessero nulla: proba¬ bilmente non riucivano a scorgere il Beaufighter. Errore! Una scia di traccianti si staccò dal bombardiere e si diresse verso il caccia, che distava meno di 100 metri. Le ” palle luminose” sembravano avvicinarsi lenta¬mente, poi curvare la loro traiettoria nei pressi del bersaglio e allonta¬narsi a velocità prodigiosa. Inutilmente Cunningham schiacciava il pul¬sante dei cannoni! restavano muti: era entrato in avaria il sistema di riarmo pneumatico! Non c’era più nulla da fare, anzi era decisamen¬te meglio allontanarsi prima che i mitraglieri avversari fossero riusciti a correggere il loro tiro. Cunningham virò rapidamente, mentre le armi del bombardiere tempestavano il cielo vuoto. Il bombardiere tedesco era stato in effetti seriamente danneggiato e costretto a rinunciare alla missione.
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Dal resoconto di questo combattimento si può compren¬dere facilmente come la caccia notturna fosse diversa da quella diurna: la prima era un sottile gioco di squadra, ove il pilota e l’operatore radar dovevano agire come un solo uomo, con calma e pon-derazione, senza effettuare manovre brusche; la seconda era invece, principalmente, un combattimento solitario, che vedeva un uomo con¬ trapposto ad un altro fare sfoggio di grande abilità tattica sia in offesa che in difesa.
La presenza di un gregario era quasi sempre passiva, tendente solo a proteggere l ‘ incolumità del capo-pattuglia piuttosto che a interferire nel combattimento aereo. La caccia notturna richie¬ deva calma, ponderazione, pazienza e nervi saldi, quella diurna rapidità di riflessi, attenzione, capacità di valutazione. Spesso gli inseguimenti notturni si protraevano per molti minuti, mentre i combattimenti diur¬ni raramente duravano più di una manciata di secondi.
I Beaufighter, che prestarono un valido servizio fino alla metà del 1943, quando vennero progressivamente sostituiti dai più prestanti Mo¬squito, inizialmente erano equipaggiati con il radar A.I.MK.IV, ma in se¬guito ebbero il MK.V dotato di schermo per il pilota, ed infine il primo radar centimetrico, il MK.VII ,con scansione a disco rotante racchiuso in un radome.
A CACCIA CON IL MOSQUITO
I tanto attesi Mosquito giunsero al No.85 Sqdn. nel marzo 1943 e piloti e operatori furono ben lieti di dar loro il benvenuto. Il nuovo aereo era davvero una sciccheria rispetto al possente ma tozzo e gelido Beaufighter. Finalmente.l’operatore radar poteva sedere a fianco del pilota dietro il parabrezza in blindovetro, che, bene o male, lo avrebbe protetto dalle sventagliate delle armi avversarie; inoltre non sarebbe più stato costretto a morire di freddo come a bordo del «Beam> e non avrebbe più dovuto affannarsi a ricaricare i cannoni. Volare sul Mo¬squito dava una meravigliosa sensazione di libertà e velocità, anche se i motori Merlin, che avevano gli scarichi laterali posti molto vicino alla fusoliera, erano veramente molto rumorosi.
Se i piloti britannici avevano cambiato montatura, anche la Luf¬ twaffe non era rimasta con le mani in mano.- Ora gli incursori notturni tedeschi non erano più dei grossi bimotori non troppo veloci, quali gli He 111, ma bimotori assai veloci (Do 217) oppure velocissimi mono¬motori Focke-Wulf FW 190 equipaggiati con una bomba e serbatoi supplementari ganciabili. Si trattava, specialmente nel secondo caso, di avversari estremamente elusivi e manovrieri che, dopo essersi liberati dell’impaccio costituito dal carico bellico e dai serbatoi, divenivano dei caccia in grado di competere ad armi pari perfino con gli agilissimi Spitfi¬re. Fra gli equipaggi della RAF si aprì perciò una vera e propria gara a chi, per primo, sarebbe riuscito ad abbatterne uno.
Cunningharn non riuscì·a vincerla ma, il 13 giugno, si prese una degna rivincita sulla sfortuna che sembrava perseguitarlo da qualche tempo. In quella notte si trovava con Rawnsley già in volo di pattuglia¬mento, quando ebbero inizio le incursioni. Cunningham aveva già da tempo compreso che, se si voleva riuscire ad intercettare degli avversari tanto veloci e manovrieri. occorreva poter disporre di un notevole margine di quota ed era bene cercare di sorprenderli prima dell’attacco, quando erano ancora gravati dal carico bellico. Cunningham pérciò orbitava a circa 7000 m quando il GCI lo informò dell’ar¬rivo di un aereo nemico volante più in basso ad alta velocità. Questa volta Rawnsley non ebbe alcun:a difficoltà a scoprirlo sul suo apparato e sveltamente diede al pilota le indicazioni necessarie. li Mosquito, in picchiata e con i motori al massimo, stentava a raggiungere quello strano «cliente» che, imperturbabile, continuava a dirigersi verso Lon¬dra a tutta manetta. Lo raggiunse proprio sulla verticale della base di West Malling, dove tutti gli equipaggi, avvertiti dalla sala operazioni, si erano raccolti all’aperto nella speranza di assistere alla probabile vitto¬ria del capogruppo. E furono accontentati in pieno. Cunningham colpi’ il nemico alla prima raffica: il 190 fece come una repentina capriola in aria e poi sprofondò in candela schiantandosi al suolo in una esplosione gigantesca prodotta dalla sua bomba. Fatto straordinario, il pilota tedesco riuscì a cavarsela con molta fortuna ed un braccio rotto: la forza centrifuga lo aveva proiettato fuori dell’abita¬colo attraverso il tettuccio. Mentre cadeva nel vuoto, svenuto, il dolore gli aveva fatto riprendere i sensi giusto in tempo per aprire il paracadu¬te prima di finire in mare nei pressi della costa. Una squadra addetta ai riflettori lo aveva immediatamente ripescato.
I Focke Wulf 190 restavano comunque sempre degli avversari assai difficili, anche se spesso erano frammisti ad altri incursori veloci, quali i Me 410 o gli Ju 88.
Nel corso dell’estate Cunningham e Rawnsley ebbero parecchie occasioni di accrescere il loro già ricco carniere, ma non sempre riuscirono a fare centro. In una occasione si trovarono di pattuglia a 4.600 m sulla Manica, quando il GCI li avverti del sopraggiungere di un possibile aereo assai veloce che, redu¬ce da aver bombardato Londra, tentava di raggiungere il continente. Grazie ai dati fomiti dal GCI, Rawnsley non ebbe alcuna difficoltà a reperire l’obiettivo sul suo schermo. li tedesco, ignaro di essere stato scoperto dal radar, procedeva velocissimo sulla rotta di rientro, tanto che il Mosquito, pur con i motori al massimo, stentava a raggiungerlo. Superata la costa meridionale l’ Fw 190 si gettò in una lunga picchiata acquistando velocità, sempre inseguito dal Mosquito che non lo mollava di un pollice. I motori Merlin, spinti al massirno, ruggivano paurosamente e la cellula vibrava mentre la velocità tendeva a superare i 700 km. Finalmente, giunti a poche centinaia di metri di quota, già oltre la metà del Canale, il 190 si rimise in volo orizzontale e Cunnin-gham riuscì a raggiungerlo lentamente. Una nutrita raffica, pezzi di lamiera che si staccavano, una seconda raffica e poi una virata stretta per non superare la linea di costa francese. Guardando indietro Ra¬wnsley vide il 190 schiantarsi sulla spiaggia in una palla di fuoco.
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ARRIVA IL RADAR CENTIMETRICO A.I.Mk X
Verso la fine del 1943 iniziò la distribuzione ai reparti dei Mosqui¬ to N.F.MK.XVII equipaggiati con i radar centimetrici statunitensi SCR-720, meglio noti presso la RAF come A.I.Mk X. Si trattava di un tipo di radar decisamente avanzato, operante nella banda dei 30 cm, munito di scansione a disco rotante che consentiva un’ampiezza di esplorazione nel settore verticale, da +90′ a -90′ grazie al fatto che si poteva far ruotare verso l’alto o verso il basso l’antenna; l’esplorazione orizzontale veniva ottenuta variando la prua del caccia. Inoltre I’A.I.M¬k X aveva una portata di ben 10 miglia (oltre 15 km), molto superiore a quella delle apparecchiature precedenti. Come se non bastasse, i nuovi Mosquito disponevano anche di un’altra apparecchiatura, alloggiata dietro la testa del pilota, che era collegata con tutti i radar del territorio sorvolato e che rendeva il caccia completamente indipendente dai GCI. Il MK.X era anche sensibilmente più immune dai disturbi del clutter del suolo, dato che, anche volando a quote molto basse, si poteva continuare l’inseguimento avendo l’accortezza di volare più bassi del bersa¬ glio e di inclinare l’antenna radar verso l’alto. Il MK.X era dotato di due tubi catodici: su quello di destra si potevano leggere distanze e direzioni fino alla portata massima, su quello di sinistra l’operatore poteva trasferire una delle tracce e seguirne le evoluzioni facendo uso del solito codice deÌl’orologio. Come si può vedere, si trattava di un’ap¬parecchiatura assai avanzata e abbastanza simile, concettualmente, a quelle in uso attualmente. Naturalmente l’avvento del MK.X causò a piloti e radaristi un periodo di superlavoro; di notte dovevano conti¬nuare a portare a termine le loro solite missioni di caccia, di giorno dovevano alzarsi in volo per imparare ad impiegare efficacemente la
nuova apparecchiatura.
Il problema più grave però non era costituito dalla funzionalità dei radar ma dallà sempre maggior velocìta degli incursori notturni tedeschi : se gli Fw 190 si erano dimostrati avversari difficili causa la loro velocità e manovrabilità, i bimotori Me 410 risultavano tanto veloci da essere quasi imprendibili. Inoltre non solo disponevano del radar Nep¬tun in coda, che li avvertiva di essere inseguiti quando ancora i Mosqui¬to si trovavano a 600 metri di distanza e consentiva loro di effettuare efficaci manovre difensive, ma erano anche tanto veloci da riuscire a distanziare i pur velocissimi Mosquito. In attesa di una versione più veloce, sugli esemplari esistenti.venne montato un sistema di sovrali¬ mentazione a perossido d’azoto, che cloveva essere usato con molta parsimonia, ma che, nel momento del bisogno, forniva ai motori un surplus di potenza necessario a «mettere il sale sulla coda» al nemico.
ll 2 gennaio 1944 Cunningham e Rawnsley ebbero modo dì speri¬ mentare dal vivo una nuova apparecchiatura. Si noti che le occasioni di intercettare aerei avversari diventavano sempre meno numerose via via che la Luftwaffe era costretta ad impiegare le sue forze residue nella difesa del Reich. I tedeschi continuavano però testardamente ad inviare incursori solitari aventi il solo scopo psicologico di non far sentire al sicuro la popolazione britannica, dato che, dal punto di vista militare, il loro peso era ormai modesto.
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Undici Mosquito circuitavano sulla Manica quando giunse l’avvertimento di prepararsi a ricevere un aereo assai veloce proveniente da sud-est. Mentre viravano per porsi sulla rotta di intercettazione, ecco il blip chiarissimo apparire sullo schermo. In breve il Mosquito di Cunnin¬gham si trovò in coda al tedesco, a circa un miglio e mezzo dì distanza, leggermente più alto. L’inseguimento appariva facile e invece si sarebbe protratto molto a lungo, fin sopra le coste francesi, limite considerato invalicabile per ragioni di segretezza connesse con il nuovo radar. Il velivolo tedesco doveva essere pilotato da un esperto di incursioni notturne: infatti, pur procedendo alla massima velocità, continuava ad eseguire manovre evasive, mettendo in grandi difficoltà Ra¬wnsley. Le distanze andavano comunque diminuendo ma, giunti a circa un km l’intruso, avvertito dal Neptun, si accorse della presenza poco gradita alle sue spalle e, senza esitare, virò secco a sini¬stra e contemporaneamente si lanciò in una picchiata vertiginosa con i motori al massimo dei giri.
Veloce, Cunningham lo inseguì e inserì anche la superpotenza per non farsi distanziare; l’incursore replicò, virando stretto a sinistra e proseguendo la picchiata. Ora volavano entrambi con prua ad est e la distanza era nuovamente aumentata a un km e mezzo, tuttavia Rawnsley continuava a seguirlo sullo schermo, e fece bene perché l’incursore, stanco di essere inseguito, diresse a sud per rientrare. Cunningham non mollò la preda e i due aerei si gettarono alla massima velocità attraverso la Manica. Dotati di prestazioni circa pari, continuarono a volare mantenendo quasi invariata la distanza che li separava. Poi, giunti in vista delle coste francesi, il pilota tedesco, che ben sapeva come la Francia fosse zona interdetta agli aerei da caccia notturna britannici, sicuro di trovarsi ormai fuori pericolo, commise l’errore di togliere motore e rallentare. Era proprio quello che Cunningham attendeva : ridotte rapidamente le distan¬ze e giunto a tiro, lo colpì’ in pieno.
Pochi giorni dopo Cunningham e Rawnsley si trovarono a inse¬gui re un 190 che, dopo aver scaricato le sue bombe, faceva ritorno alla base volando a tutta manetta, un sistema sicuro per sfuggire ai meno veloci intercettori notturni britannici. Per accrescere ulteriormente la sua velocità si era messo in una picchiata lineare che lo avrebbe portato ad incrociare la costa francese a bassa quota. Inseguire l’aereo non fu difficile, ma riuscire a colpirlo era un’altra faccenda! Nonostante tutti gli sforzi, con i Merlin in superpotenza che ruggivano all’impazzata e la cellula del Mosquito che vibrava paurosamente sotto lo sforzo intenso e prolungato, la distanza dal bersaglio restava di due miglia e non diminuiva di un pollice! Ad un certo punto la prudenza prevalse e Cunningham tolse lentamente ma¬netta e torno’ la base. Giunti a terra i meccanici scoprirono che quella volata paurosa a quasi 730 km/h aveva causato lo scollamento parziale del rivestimento alare: se il pilota non avesse avuto il buon senso di diminuire la velocità, l’aereo si sarebbe ben presto disintegrato in volo.
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A CACCIA DI BOMBE VOLANTI
Verso la metà del I 944 ebbe inizio quella che sarebbe passata alla storia come la Battaglia delle Bombe Volanti, ossia l’offensiva tedesca delle V-1 (Fieseler Fi 103). Si trattava del primo tipo di missile da crociera che si fosse mai visto e, per l’epoca , era un vero prodigio della tecnica. Si trattava di un aeromobile autopropulso da un pulsoreattore, diretto da un rudimentale autopilota ,e munito di una testata bellica del peso di circa 1.000 kg ad alto esplosivo, capace di distruggere in un sol colpo un intero caseggiato. La portata pratica della V-1 era dì circa 300 km e, giunta in prossimità dell’obbiettivo prescelto, un congegno a tempo mosso da un’elichetta sita sulla prua, tagliava l’alimentazione del suo pulsogetto e metteva i timoni a picchiare,
, dopodiché la bomba volante impattava con il suolo. La sua precisione era assai mediocre ma, per colpire un obiettivo vasto quanto una me¬tropoli a scopo terroristico, là precisione richiesta non era molta. Un punto debole della bomba volante era costituito dal fatto che essa procedeva in linea retta a quota costante (circa 3000 m e 640 km/h), fatto che la poneva facilmente alla portata della artiglieria anti¬aerea pesante. Di notte però, o anche di giorno con il cielo coperto, intercettarla era tutt’altro che facile, dato che era più veloce di molti caccia in servizio. In realtà erano solo tre gli aerei che potevano avere speranze di riuscire ad intercettare una V-1 : il poderoso Tempest V, il veloce Spitfire XIV e, appunto, il Mosquito, che era anche il solo capacè, grazie al radar, di effettuare intercettazioni nottunie o a cielo coperto. Quando il cielo era limpido il radar non era necessario, visto che la fiammata che si sprigionava dal pulsogetto era visibilissima an¬che a molti chilometri di distanza. La prima fase vide le bombe lanciate da basi in territorio francese e olandese; poi questi territori furono riconquistati e la Wehrmacht respinta ben oltre la portata massima delle V-1.
Poi si scoperse che un certo numero di Heinkel 111 era stato trasfonnato in vettori di V-1, che lanciavano volando di notte a bassa quota sul Mare del Nord. Immediatamente si decise di intercettar¬li con i Mosquito . Intercettare gli He 111 tutta¬via era un compito non facile, dato che volavano sempre ad una quota tale da sottrarsi alla ricerca con i radar di scoperta a lungo raggio; anche l’intercettazione con I’A.I. era resa difficile dalla quota e dal clutter della superficie marina. Il problema venne risolto installando su di una nave un radar di scoperta e il relativo GCI, coa¬diuvato da un bombardiere Wellington del Coastal Command munito di radar ASV e A.I. Il GCI scopriva e catalogava i bersagli e vi indirizzava contro i caccia notturni; le manovre di intercettazione venivano seguite dal Wellington in volo, che poteva intervenire e dare consigli in caso di necessità. Il sistema diede frutti notevoli: su 24 He 111 attaccati ne vennero distrutti 16, oltre a 4 danneggiati e 4 probabili. Vista la mala parata la Luftwaffe decise che il gioco non valeva più la candela, anche perché, nel frattempo, erano entrate in servizio le V-2, contro cui non c’era difesa possibile.
Cunningham e Rawnsley terminarono il loro terzo ciclo operativo· con la fine delle ostilità in Europa: avevano iniziato a combattere assieme e assieme si erano trovati durante quasi tutta la guerra .Si erano guadagnati svariate decorazioni e avevano all’atti¬vo almeno 20 abbattimenti sicuri, molti probabili e svariati «danneggia¬to».
A qualcuno questi risultati non sembreranno un carniere particolarmente ricco, soprattutto se confrontato con i valori stratosferici raggiunti dai maggiori assi della specialità’ della Luftwaffe ( Schnaufer raggiunse quota 121 e Lent 110, e si tratta solo dei maggiori! )
Occorre però anche tenere conto delle diverse condizioni operati¬ ve: quando la Luftwaffe era presente in forze nei cieli notturni della Gran Bretagna, i caccia notturni erano poco numerosi e gli impianti radar poco potenti ed affidabili; quando si ebbero a disposizione aerei, equipaggi e radar numerosi, potenti ed affidabili, il traffico aereo not¬turno sulla Gran Bretagna era ormai costituito quasi soltanto dai bom¬bardieri britannici che facevano ritorno dalla Germania, tanto che era necessario, prima di sparare ad un bersaglio, riconoscerlo con certezza come nemico, se non si voleva avere sulla coscienza la morte di una decina di connazionali. Spesso infatti accadeva che, dopo un lungo inseguimento, Cunningham e colleghi si accorgessero di avere sprecato tempo e benzina andando dietro a un Lancaster o a un altro Mosqui¬to con l’IFF in avaria. In realtà tutti gli aerei britannici erano muniti di IFF che, in linea di principio, avrebbe dovuto avvertire l’inseguitore circa la nazionalità del bersaglio.Per contro, nei cieli tedeschi, il traffico di bombardieri britannici era talmente intenso che i caccia notturni nerocrociati non avevano che l’imbarazzo della scelta. E i’risultati si videro.
